Come psicologa incontro ogni giorno bambini, ragazzi e genitori che vivono fatiche e difficoltà; quando giungono, queste fragilità sono spesso già “addobbate” con un vestito di giudizio (“…non è bravo, si comporta male, non mi ascolta…”), anche verso se stessi, sia nei genitori (“…non so mai come fare, mi arrabbio con lui, non sono coerente…”), che nei bambini (“…non sono intelligente, sono cattivo, qualcosa non va in me…”).

Il vestito del giudizio molte volte si accompagna al senso di colpa e di inadeguatezza, perché rende inadeguati, non rispondenti alle richieste, in sostanza imperfetti.

Il sentimento più comune che sembra legare e tenere cucito questo vestito è la paura, la percezione di una minaccia per la stima di sé, per la propria identità, per la buona realizzazione di aspettative future per sé e per i propri figli, un pericolo costante nei confronti del quale si combatte, nella speranza di poterlo eliminare, alla ricerca di soluzioni volte a placare questa sensazione di inadeguatezza.

Il desiderio è quello di imparare strategie, saper come fare, come risolvere problemi, come giungere ad un risultato che soddisfi le nostre aspettative, nel tentativo di far diventare l’imperfezione meno imperfetta.

Il meccanismo sembra funzionare, fino a quando non si scopre che ci sono cose che non possiamo cambiare, difficoltà che non possiamo eliminare, imperfezioni che non possiamo “aggiustare”.

Possiamo allora scegliere di avere uno sguardo diverso verso ciò che sembra “non funzionare”: la possibilità di avere un’attenzione benevola nei confronti delle nostre fragilità.

Concederci di essere gentili e compassionevoli con noi stessi e con la nostra imperfezione non significa de-responsabilizzarci, ma scegliere non appesantire la situazione con il vestito pesante del giudizio e dell’autocritica.

Si dice sempre che a Natale si è di corsa per i regali, i preparativi, le feste e ci si augura di avere momenti nei quali fermarci: mi piacerebbe augurare un Natale nel quale ci si possa fermare, anche per un po’ di gentilezza, attenzione e amorevole compassione verso le nostre imperfezioni, per esserne consapevoli, ma con uno sguardo non giudicante.

dott.ssa Michela Cendron – Psicologa e psicoterapeuta

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